Bonding significa letteralmente attaccamento o vincolo.
Questo termine si è diffuso sempre più negli ultimi quarant’anni, è oggi la teoria del bonding rivela aspetti molto importanti nel rapporto tra il neonato e i genitori.
Vediamo di cosa si tratta.
Di cosa si parliamo qui?
Quando parlo alle mamme dell’importanza del contatto per i loro bambini, spesso uno dei loro timori riguarda la paura di viziarli e di non renderli autonomi.
Pensano che assecondare le richieste dei loro bambini, rispondere tempestivamente al pianto o tenerli in braccio possa generare adulti incapaci di essere autosufficienti.
Sono paure accettabilissime, che tendono a sparire in fretta se la mamma presta ascolto a se stessa e al piccino.
A scanso di equivoci questi timori, non hanno nessun supporto scientifico.
Tantissime ricerche approfondiscono il bisogno di contatto del neonato.
Affermano che la vicinanza tra genitori e figli, crea i presupposti per un adeguato sviluppo psico-affettivo e cognitivo del bambino ed è determinante per la sua evoluzione.
Rispondere adeguatamente ai bisogni dei bambini li aiuterà a crescere psicologicamente sani ed equilibrati. Aumenterà la loro autostima e li agevolerà verso la conquista dell’indipendenza”
Bertoli – E se poi prende il vizio?
Con il termine bonding si intende quel legame unico, profondo, destinato a durare tutta la vita che si crea tra madre e figlio.
Legame che comincia nel periodo pre-natale, si rafforza alla nascita e continua negli anni successivi.
Il bonding fa sì che la madre senta istintivamente, oltre al bisogno e la voglia di allattare, abbracciare e giocare con il neonato, anche la necessità di proteggerlo, tutelarlo e non trascurarlo.
Nella prima metà del ‘900 fu lo psichiatra John Bowlby a proporre per primo la teoria dell’attaccamento.
Evidenziando quanto un buon contatto fisico tra madre e figlio alla nascita potesse promuovere il sano sviluppo della personalità del bambino.
Negli anni successivi, il dottor Harry Harlow, iniziò degli esperimenti con le scimmie per verificare la veridicità della teoria dell’attaccamento di Bowlby.
Prese dei cuccioli di macaco e propose loro due tipi di mamme surrogate: la “madre di pezza” e la “madre di ferro”.
La prima non aveva latte ma era calda e morbida.
La seconda aveva un biberon per alimentare i piccoli ma era fatta di fili di acciaio, fredda e rigida.
Quello che avvenne fu che i cuccioli passavano il loro tempo abbracciati alla mamma di pezza e consideravano quella di ferro solo quando sentivano lo stimolo della fame.
Harlow era riuscito a dimostrare come il bisogno di contatto, contenimento e affetto fossero più importanti di quello nutrizionale.
A confermare ulteriormente l’importanza del legame madre-bambino furono il neonatologo Marshall H. Klaus e il pediatra John H. Kennel.
Nel loro libro Mother-Infant Bonding affermarono quanto fosse importante, per garantire un buon avviamento del bonding, far sì che genitori e neonato stessero a stretto contatto fisico sin dai primi attimi dopo la nascita.
“Il legame materno-neonato è un processo vitale che inizia nella prima infanzia e continua negli anni successivi.
Il processo di legame ha enormi implicazioni sia per la madre che per il bambino ed è influenzato da molti fattori.”
Kennel e Klaus evidenziarono che il processo di attaccamento non rappresenta qualcosa di rigido e oggettivo.
Ma un processo che nasce lentamente, soggettivo, che porta i genitori ad innamorarsi piano piano del loro bambino.
Il legame che si crea dopo la nascita non è altro che la continuazione di un legame iniziato molto tempo prima, nell’utero.
E’ attraverso la comunicazione prenatale (della quale vi parlerò nel prossimo articolo) che la mamma inizia a creare un contatto con il proprio bambino.
Ma il “momento magico” per eccellenza è il momento della nascita.
Appena nati i bambini sono in uno stato di veglia attiva che li porta ad essere attenti al mondo che lo circonda.
Guardano, ascoltano e cercano il contatto fisico.
Le due ore successive alla nascita sono, come ci ricordano Kennel e Klaus, “il momento migliore per garantire un buon avviamento del bonding”.
Per questo dare la possibilità alle mamme di stare a contatto pelle a pelle con il neonato è importantissimo.
Con lo “skin to skin” il piccolo ha la sensazione di essere in un luogo famigliare: il cuore della mamma gli ricorda i suoni che lo hanno accompagnato per 9 mesi.
L’odore del seno gli richiama alla mente quello del liquido amniotico.
Questo gli permette di:
Il beneficio che trae la mamma dal contatto pelle a pelle sono:
Favorire il bonding alla nascita
Abbiamo parlato della mamma, ma ricordiamoci che “quando nasce un bambino, nasce anche un papà”.
Anche lo skin to skin tra padre e figlio è da salvaguardare e da supportare al momento della nascita.
Il piccolo imparerà prestissimo ad amare e riconoscere l’odore del papà, il suo abbraccio e il suo sguardo.
Studi recenti evidenziano che anche i padri dei neonati presentano importanti variazioni ormonali quando si prendono cura dei loro bambini.
Gli ormoni che variano nell’uomo grazie al bonding sono :
Che tu sia mamma o papà, per facilitare il processo di attaccamento e di bonding, dai spazio a coccole, massaggi e carezze.
Ciò che più serve a questo essere “piccolo nel corpo ma grande nella mente”, come ci ricorda Silvana Montanaro in Comprendere il bambino, sono semplicemente contatto, calore, contenimento e cibo.
Capita a volte che ci siano situazioni che posticipano il bonding perché il bambino viene separato dalla famiglia.
Per esempio se il neonato nasce prematuro o ha bisogno di essere monitorato.
Dobbiamo disperare?
Certo che no, come ho spiegato precedentemente, il bonding è un processo, non un evento.
Questo significa che, nonostante l’assenza di contatto fisico alla nascita, è possibile recuperare e rafforzare il legame con i genitori anche in un momento diverso dal parto.
In ospedale nella maggior parte delle neonatologie viene tutelato il rapporto famiglia-bambino.
Consapevoli che il contatto fisico è importante per l’attivazione del bonding nel neonato gli operatori sanitari accompagneranno i genitori ad entrare in relazione con il loro cucciolo.
I genitori potranno parlargli sottovoce, fargli delle piccole carezze e in un secondo momento, potranno avviare lo skin to skin.
Tutto questo permetterà anche ai neonati ospedalizzati di soddisfare parte del loro bisogno di contatto.
Una volta a casa i genitori avranno a disposizione più di un modo per stare pelle a pelle:
Di tutto questo, e molto di più, parleremo nei prossimi articoli.
Per il neonato il contatto fisico è Amore, per lui significa ritrovare il calore e la morbidezza del corpo materno, ricongiungersi alla madre dopo la separazione del parto.
Ma come manifesta il suo bisogno di contatto?
Attraverso l’unico modo di comunicare che ha: il pianto.
Il pianto per il neonato è SEMPRE sinonimo di un qualche tipo di disagio come fame, dolore o paura.
Quando il neonato piange ricordiamoci che non sta facendo i capricci, ma ha esigenze fisiologiche che esigono risposte immediate.
Lorenzo Braibanti nel libro Nascita senza violenza endogestazione-parto-esogestazione scrive
“Il bimbo viziato non è il bimbo che è stato accontentato quand’era piccolo nei suoi bisogni fisiologici ma quello che non ha trovato risposta al suo bisogno profondo di latte, di contatto e di calore materno.”
Quindi assecondiamo il nostro istinto di genitori ad amare e “spupazzare” di coccole i nostri bambini approfittando dei primi mesi di vita per stabilire quel legame intimo che sarà alla base della qualità della futura relazione con lui.
“In questo oceano di novità, d’ignoto, bisogna fargli provare sensazioni passate che inducano pace e sicurezza.
Questa pelle non ha dimenticato…
Essere portati, cullati, accarezzati, massaggiati, sono tutti nutrimenti per i bambini piccoli, indispensabili come le vitamine, i sali minerali e le proteine, se non di più…”
(F.Leboyer)
Se vuoi chiedermi informazioni più approfondite puoi contattarmi tramite mail accorgersi@gmail.com
Per capire meglio chi sono ecco la mia presentazione e come sono entrata a far parte dei Cosmonauti Maggiori.
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