Come si fa a dipingere la trasformazione e farla diventare un’opera d’arte?
Marco Nel Parco lo sa. E lo fa bene.
E’ di origine Italiana, ma vive da 15 anni ad Amsterdam.
Ha il classico physique du role da artista. Capello sempre un po’ spettinato, andatura dinoccolata, chiacchierone a non finire, di compagnia e buono d’animo.
Di quelli che si vede che la vita gli ha lasciato qualche segno, qualcosa da dover processare, qualcosa che lo addolora e lo nutre ancora di sensazioni che no…non vogliono lasciarlo.
Conobbi Marco – no, non mio marito se ancora non vi fosse chiaro parlo di questo qui nella foto – frequentando la “scuola” di Cristobal Jodorowsky. Probabilmente il percorso personale più tosto ed emozionante che conosca.
Tra un atto psicomagico, una trasformazione interiore e una meditazione – che detta così sembra tutto molto easy e normale – mi sono imbattuta in lui.
Siamo diventati amici. Qualcosa risuonava con lui ed è stato uno dei primi con cui ho legato.
Era l’occhio che cercavo quando dovevo trovare “casa” in mezzo a un grande gruppo di persone che non conoscevo ancora. Quando l’esercizio era “too much” o quando le lacrime non volevano smettere di cadere.
Di cosa si parliamo qui?
Sa cosa comporta cambiare.
Per evolversi c’è uno scotto doloroso da pagare ma anche divertente se fatto con amore e rispetto per se stessi.
E lui l’amore ce l’ha.
Ce l’ha nelle vene, nei colori che accosta, nei suoi giri in bicicletta tra i canali, nel suo pazzo sogno di rientrare in Italia per ritirarsi “in the middle of nowhere”.
Credo che nei suoi quadri ci sia la volontà di esplorare ogni singolo centimetro del suo subconscio, raschiare il fondo del barile per rinascere di nuovo libero.
È un uomo che ha preso coscienza del suo passato, delle sue radici famigliari, ma con visioni e futuro scritti dal suo istinto e dalla sua volontà.
Gli abbiamo fatto 7 domande.
In realtà questo nome d’arte é una novità legata proprio al processo di trasformazione intrapreso tre anni fa con Jodorowsky.
Il mio percorso artistico inizia con la street art durante l’adolescenza. A 16 anni cominciai a firmare i miei graffiti Nemoh. La trovavo un’idea simpatica, per l’assonanza con la parola latina nemo, cioè nessuno. Era un modo per prendersi gioco delle autorità. Se qualcuno avesse chiesto “Chi ha fatto quei graffiti?” la risposta sarebbe stata: “Nessuno li ha fatti!”
Non mi ero accorto che in realtà questo nome era collegato anche alla mia paura di espormi, di mettermi veramente in gioco. Infatti ho passato anni ad auto-boicottarmi, a nascondere la mia arte in un cassetto, senza prendere sul serio il mio talento.
Durante il mio percorso di trasformazione ho deciso di cambiare il mio nome in Marco Nel Parco. Cercavo qualcosa che significasse apertura e rappresentasse la mia rinata voglia di mettermi in gioco. Ora sono pronto a mettermi a nudo, a farmi conoscere per quello che sono attraverso la mia arte.
Disegnare per me è una forma di meditazione.
E’ una sorta di annientamento dell’ego generata da una totale focalizzazione su ciò che faccio.
Spesso il risultato sorprende anche me perché fondamentalmente si tratta di un’esplorazione che avviene sotto i miei occhi, come una canalizzazione energetica. Attraverso i miei disegni vado alla ricerca di ciò che mi abita interiormente. Spesso si tratta di cose di cui non sono ancora consapevole.
Mi viene in mente la frase di Picasso: “Io non cerco, trovo”. Credo di avere un atteggiamento simile quando mi metto al tavolo da disegno.
A volte posso avere un’idea iniziale per un’immagine o una sensazione che voglio trasferire allo spettatore; poi questa prende forma su carta e viene espansa dai colori. Altre volte invece è puro jazz, improvvisazione… e forse sono quelle le opere a cui sono più affezionato, quelle che mi hanno rivelato qualcosa che prima ignoravo.
Disegnare per me è essere tutt’uno con la creazione. E’ abitare uno spazio di reattività dove linee e punti si susseguono veloci e quasi sembrano prendere forma da soli. Non faccio schizzi a matita. Disegno direttamente a pennarello e questo non permette correzioni. Se commetto degli errori cerco di lavorare anche con quelli…come nella vita, no? Si rimane in pista nonostante gli errori fatti!
Credo che una delle mie opere preferite sia “The Right Eye” (titolo che può essere tradotto sia come “L’Occhio Destro”, sia come “L’Occhio Giusto”).
È un disegno nato in maniera molto spontanea e in qualche modo é un’opera che continua a ‘nutrirmi’.
Casualmente è stato anche uno di quelli che è piaciuto di più al pubblico.
Anche l’installazione “Date e Vi Sarà Dato” é un’opera a cui sono molto legato. Si tratta di una scultura interattiva. Inserendo una moneta da 50 centesimi nell’apposita feritoia, il busto della Vergine (a grandezza naturale) si attiva, benedicendo chi le sta di fronte.
Quest’opera é un commento al ruolo della donna all’interno della società patriarcale in cui viviamo. Infatti per la religione Cattolica le donne non hanno il diritto di benedire nessuno, solo gli uomini hanno questo potere simbolico.
Quest’opera esplora anche il rapporto tra denaro e religione, un’altra tematica che mi sta molto a cuore.
Mi piace il fatto che un’opera d’arte possa mettere in discussione lo status quo e spingerci a riflettere.
Sorpresa. Mi piace molto l’idea di sorprendere gli altri.
Soprattutto vorrei che il pubblico, guardando i miei disegni, riuscisse ad avere una sorta di presa di coscienza.
Mi piacerebbe che le mie opere fossero uno spunto di riflessione, un invito al ragionamento e all’apertura del cuore.
Dalla vita!
Mi metto in gioco, sempre. Mi piace trovarmi in situazioni che sono fuori dalla mia comfort zone.
Godere della vita e delle interazioni che questa ci porta é una delle cose che più mi nutre, anche a livello artistico.
Anche il cammino fatto fin qui con Jodorowsky, é stato sicuramente molto illuminante. Poi ovviamente, oltre che dalle mie esperienze, prendo anche ispirazione dalla cultura di cui mi circondo: cinema, libri, fumetti, mostre e musei.
A dirla tutta, non sono amante delle definizioni. Ho sempre l’impressione che si rischia di ingabbiare qualcosa, definendolo a parole.
Inoltre bisognerebbe capire che cosa si intende per ‘arte spirituale’. Se con questo termine ci riferiamo a un’arte che agevola una presa di coscienza allora forse si, potremmo anche definirla così. Però purtroppo trovo che il termine ‘spirituale’ sia stato spesso utilizzato a sproposito, ad indicare qualcosa che non fa parte di questo mondo… Invece a me interessa proprio la spiritualità della materia, la magia del reale.
In un certo senso credo che preferirei definire la mia arte come spiritosa invece che spirituale!
No. I segreti vanno mantenuti se no che segreti sono (ride, ndr)…anzi dai, uno ve lo dico: ho tantissimi segreti!
Dietro le quinte:
Come abbiamo scritto Marco abita ad Amsterdam. Ci siamo visti a Bologna a casa di Nicole, un’altra ragazza che ha fatto il nostro stesso percorso, e così è nata l’idea di questa intervista. A Bologna c’era anche il mio Marco, mio marito. Volevo che conoscesse finalmente queste stupende persone ricche di ritmo, amore per la vita e per la verità, curiose e anche un po’ impavide. Persone che si, hanno paura, ma questa paura non è bloccante, è uno stimolo, una palestra, una scuola…la riconoscono, la gestiscono e a cuore aperto sono in cammino.
Noi abbiamo preparato il file e glielo abbiamo mandato.
Dopo una settimana circa risponde mandando un audio di 17 minuti.
17 minuti bellissimi perché ha una voce calda e si sentiva che passeggiava su e giù per la casa mentre rispondeva alla nostre domande.
Suonava qualche tazzina. Prendeva lunghi respiri e sorsi d’acqua. Era emozionato.
Ha voluto parlare e non scrivere per fare in modo che tutto fluisse meglio.
Noi lo abbiamo sbobinato rispettando le sue parole e i suoi concetti.
Andremo ad Amsterdam a trovarlo, ve lo faremo conoscere tramite il nostro canale IG e gli faremo un’intervista più approfondita così che anche voi possiate godere oltre che della sua arte, della sua voce.
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